Anno XXXIX - Numero 1 - febbraio 2016

Dall'Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili di Ivrea, Pinerolo, Torino

Lavorazioni intracomunitarie di beni: la normativa italiana si allinea alla direttiva Iva comunitaria
a cura del dott. Gian Piero balducci, Studio Palea

Cosa è cambiato
L’art. 13 della L. 115/2015 ha introdotto modifiche volte a recepire le restrittive interpretazioni fornite dalla Corte di Giustizia Europea (sentenza 6/3/2014 – causa C-606/12 e C-607/12) in materia di lavorazioni intracomunitarie di beni senza rientro. Dette modifiche, in vigore dallo scorso 18/08/2015, determinano effetti sugli obblighi identificativi e di compilazione degli elenchi intrastat.

Normativa ante 18/08/2015
Prima del 18/08/2015, data dalla quale le modifiche di cui sopra hanno effetto, l’introduzione in Italia di beni provenienti da un altro paese membro, effettuata da un soggetto passivo Iva stabilito in detto altro paese membro, al fine della lavorazione o valutazione degli stessi in Italia, non si qualificava mai come un “trasferimento per esigenze proprie” (e quindi il committente straniero non aveva l’obbligo di identificarsi direttamente ai fini Iva in Italia) ogni qual volta i beni, al termine della lavorazione/valutazione, fuoriuscivano nuovamente dal territorio italiano (quindi, sia che ritornassero nel paese da cui erano stati spediti, sia che venissero spediti in un altro stato). Dall’altro lato, tuttavia, il trasferimento di beni effettuato da un soggetto passivo Iva italiano dall’Italia ad un altro paese membro, ai fini della loro lavorazione/valutazione, non si qualificava (e non si qualifica tutt’ora) come “trasferimento per esigenze proprie” e quindi non comportava l’obbligo, per il committente italiano, di identificarsi ai fini Iva nel paese in cui veniva fatta la lavorazione solo se i beni, al termine della lavorazione stessa, ritornavano in Italia.

Si precisa che, qualora i beni non tornino in Italia dopo la lavorazione, il committente italiano doveva e  deve tutt’ora identificarsi direttamente nel paese del “lavorante” e doveva e deve effettuare, al momento dell’invio dei beni, una cessione intracomunitaria dalla partita iva nazionale a quella comunitaria con conseguente compilazione degli elenchi Intra-bis 1, fiscale e statistico.

Normativa dal 18/08/2015
A partire da tale data, il trasferimento di beni da un paese membro all’Italia per essere ivi oggetto di lavorazioni/valutazioni non viene considerato come un “trasferimento per esigenze proprie” e quindi non obbliga l’operatore straniero ad identificarsi ai fini Iva in Italia solo a condizione che i beni dopo la lavorazione/valutazione rientrino nello Stato da cui sono stati originariamente spediti.

Questo significa che, dal 18/08/2015, il committente soggetto passivo Iva comunitario è obbligato a registrarsi ai fini Iva in Italia ogniqualvolta i beni, al termine della lavorazione/valutazione, rimangano in Italia (per essere venduti, ad esempio, a clienti italiani) oppure vengano trasportati in altri Stati comunitari diversi da quello da cui erano giunti.

Le conseguenze
Ogniqualvolta un committente soggetto passivo iva comunitario invii beni in Italia per ivi essere lavorati/valutati e, al termine della lavorazione/valutazione, detti beni non rientrino nello stato di provenienza (perché, ad esempio, venduti a clienti italiani oppure a clienti stabiliti in altri paese diversi da quello di origine dei beni) il committente soggetto passivo Iva comunitario deve:
-    identificarsi direttamente ai fini Iva in Italia (tale obbligo non era previsto prima del 18/08/2015);
-    effettuare un “trasferimento per esigenze proprie”, gestendo quindi l’operazione emettendo una fattura “tecnica” dalla propria partita Iva a quella appena aperta nel paese del “lavorante”. Tale operazione dovrà essere gestita alla stregua di una cessione intracomunitaria assimilata (art. 41 c. 2/C) nel paese in uscita e di un acquisto intracomunitario assimilato nel paese in entrata (dove verrà fatta la lavorazione);
-    effettuare una cessione intracomunitaria dalla propria partiva Iva italiana qualora, al termine della lavorazione, i beni vengano venduti e trasportati a clienti stabiliti in altri paesi comunitari;
-    effettuare una esportazione dalla partita Iva italiana qualora i beni vengano venduti a soggetti extra-comunitari.

Come già sopra precisato, in modo del tutto speculare, analoghi obblighi ha il committente Italiano quando spedisce all’estero beni che, al termine della lavorazione, non rientrano in Italia.

Per completezza, si precisa che nel caso in cui il cliente finale del committente comunitario della lavorazione fosse un soggetto passivo iva stabilito in Italia (ad esempio un società), detto committente comunitario, non essendo un soggetto passivo IVA stabilito in Italia ma solamente identificato ai fini IVA, non dovrà addebitare alcuna Iva italiana al cliente italiano in quanto per detta casistica opera il “reverse charge” da parte del cliente italiano (art. 17 c. 2 D.P.R. n. 633/72).
 

Coordinamento editoriale: Francesca Corsini, Francesca Tessitore
Redazione a cura di: Centro Estero per l'Internazionalizzazione e Camera di commercio di Torino


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