Anno XXXVIII - Numero 5 - 30 luglio 2015

Dall'Ordine dei Commercialisti e degli Esperti Contabili di Ivrea, Pinerolo, Torino

Hong Kong, dopo la Convenzione ancora più attraente
a cura del dott. Cristiano Donnet, Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili di Ivrea, Pinerolo, Torino
 

La Convenzione contro le doppie imposizioni con Hong Kong, sottoscritta il 14 gennaio 2013, è stata formalmente ratificata dall’Italia con la pubblicazione della legge n. 96 del 18 giugno 2015 sulla Gazzetta Ufficiale del 7 luglio. Affinché l’accordo entri in vigore è necessario ancora attendere che i due Stati si scambino reciprocamente gli strumenti di ratifica. Se questo dovesse avvenire entro la fine dell’anno le nuove disposizioni si applicherebbero dal 2016.

La Convenzione, salvo qualche piccola eccezione, è conforme al modello OCSE. Dallo stesso non si discosta per quanto riguarda l’individuazione della residenza fiscale delle persone fisiche (art. 4), laddove utilizza le tie breaker rules, con riferimento alla tassazione dei dividendi (art. 10) e degli interessi (art. 11), cui si applica una ritenuta alla fonte rispettivamente del 10% e del 12,5%, ai redditi per il lavoro dipendente prestato all’estero (art. 15) e alla territorialità del capital gain (art. 13), con tassazione esclusiva nel paese di residenza dell’alienante (peraltro è prevista un’eccezione per le società immobiliari).

Tra le poche differenze con il modello OCSE vi sono la tassazione delle royalties (art. 12), cui si applica una ritenuta alla fonte del 15%, e la nozione di stabile organizzazione per i cantieri (art. 5), la quale assume rilevanza fiscale se sussiste per un periodo superiore a sei mesi.

In sostanza la Convenzione da un punto di vista fiscale non “rivoluziona” il quadro attuale per gli investitori italiani in Hong Kong. Senza dubbio maggiori sono i benefici per gli investitori di Hong Kong in Italia, in virtù del favorevole regime fiscale di Hong Kong in materia di dividendi, interessi e capital gains, che non sono soggetti a tassazione, e di royalties, soggette ad una ritenuta del 4,95%. Rilevanti sarebbero, invece, i benefici indiretti legati alla possibile uscita dalla black list. In questo senso grande importanza assume l’art. 25 relativo allo scambio di informazioni, conforme allo standard OCSE, il quale prevede la clausola per cui uno Stato non può rifiutarsi di fornire i dati richiesti anche se detenuti da banche o società finanziarie.

Fino a qualche mese fa Hong Kong si trovava in tutte le black list italiane; in particolare in quella relativa all’inversione dell’onere della prova per il trasferimento della residenza delle persone fisiche (DM 4 maggio 1999), in quella riferita alla disciplina sulle CFC (DM 21 novembre 2001) ed in quella connessa all’indeducibilità dei costi di cui all’art. 110, comma 10, del TUIR (DM 23 gennaio 2002). Con l’entrata in vigore della Convenzione Hong Kong, in virtù del suddetto art. 25 sullo scambio di informazioni, sarà inclusa nella white list dei Paesi che danno un adeguato scambio di informazioni (DM 4 settembre 1996) e, verosimilmente, dopo essere uscita a partire dal 2015 dalla black list CFC, dovrebbe essere eliminata anche dalle altre due “liste nere”.

Tra le conseguenze principali dell’uscita dalle black list possiamo individuare la tassazione unicamente con un’aliquota del 16,5% degli utili prodotti da società residenti in Hong Kong, l’applicazione della participation-exemption con riferimento ai dividendi corrisposti da imprese di Hong Kong a imprese residenti in Italia, con conseguente tassazione pari all’1,375%, oltre all’applicazione del regime ordinario di deducibilità dei costi provenienti da soggetti residenti a Hong Kong. Tutto questo renderebbe quella che è una delle due regioni amministrative speciali della Repubblica popolare cinese (l’altra è Macao) ancora più attraente per i possibili investitori.

Hong Kong rappresenta, infatti, il punto di partenza ideale per entrare nella difficile realtà della Cina, ma anche per penetrare i mercati dei Paesi dell’Asean (Association of South-East Asian Nations). Tant’è che l’Hong Kong Trade Development Council (Hktdc) lo scorso anno ha organizzato la campagna “Think Asia, Think Hong Kong”, facendo tappa a Milano nel mese di ottobre. All’evento hanno partecipato oltre 800 società italiane, interessate a cogliere le opportunità offerte dal mercato asiatico, e si sono svolti 650 incontri B2B con controparti asiatiche. Attualmente sono circa 450 le aziende italiane presenti sul territorio della Regione speciale di Hong Kong, attive in tutti i principali settori del made in Italy, dall’agroalimentare alla moda, dal retail al lusso.

A rendere Hong Kong il luogo più adatto per avviare un business in Asia vi sono da un lato il diritto societario, di origine anglosassone, flessibile, semplice e rapido, ed il sistema giudiziario forte e indipendente, e dall’altro la forte interazione con il resto del territorio asiatico. Si pensi ad esempio all’accordo Cepa (Closer Economic Partnership Arrangement) tra Hong Kong e Mainland China, che ha eliminato le barriere sostanziali al commercio ed agli investimenti tra i due Paesi o al recente accordo di liberalizzazione nel commercio dei servizi tra Hong Kong e la confinante provincia del Guangdong. Inoltre l’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico prevede di realizzare una piena unione doganale con una tariffa esterna comune, di liberalizzare gli investimenti, i movimenti di capitali e la circolazione dei lavoratori all’interno dell’area e aprire anche il settore dei servizi.

Esaminando il recente report sull’economia di Hong Kong, predisposto dall’Hktdc, è interessante constatare che il PIL reale è cresciuto del 2,9% nel 2013 e del 2,3% nel 2014, con un tasso di disoccupazione molto basso (3,4% nel 2013 e 3,2% nel 2014). Inoltre il mercato di Hong Kong è molto attrattivo per gli investimenti diretti all’estero (IDE). Secondo l’UNCTAD World Investment Report 2014 il flusso di IDE verso Hong Kong nel 2013 ammontava a 77 miliardi di dollari US, subito dopo gli USA (188 miliardi), la Cina (124 miliardi) e la Russia (79 miliardi). Il valore dell’IDE proveniente da Hong Kong ammontava, invece, a 92 miliardi di dollari US, in quinta posizione, dietro USA (338 miliardi), Giappone (136 miliardi), Cina (101 miliardi) e Russia (95 miliardi). A tutti questi dati bisogna aggiungere che Hong Kong è il terzo centro finanziario globale dopo New York e Londra, che vanta il più importante aeroporto al mondo per il transito di merci e che è un centro all’avanguardia per le telecomunicazioni nell’area Asia Pacific (APAC).

Se, dunque, la regione amministrativa speciale di Hong Kong già da tempo rappresenta la meta ideale per stabilire sedi amministrative o uffici di rappresentanza, soprattutto per aziende operanti in Cina e nei Paesi dell’ASEAC, o per avviare nuove attività (molte sono le start up che hanno preso vita recentemente), la novità introdotta dalla Convenzione contro le doppie imposizioni non potrà che rendere ancora più interessanti gli investimenti in quest’area, eliminando alcuni ostacoli di ordine burocratico e riducendo il carico fiscale.

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